IL PROSECCO COLFONDO
Vi è mai capitato di imbattervi in una bottiglia di Prosecco, chiuso con il tappo delle birre, di uno strano colore giallo torbido, dall’aspetto velato, con dei residui biancastri sul fondo della bottiglia?
Tranquilli il prodotto non è avariato, semplicemente vi trovate al cospetto del Prosecco come veniva fatto un tempo nelle campagne, quello della tradizione, relegato all’economia domestica, “con il fondo” appunto.
Un vino che è stato riscoperto e valorizzato prima da pochi storici produttori e oggi è proposto da molti vigneron appartenenti ai territori di entrambe le denominazioni di riferimento, Conegliano-Valdobbiadene e Asolo.
Come viene prodotto? Con un metodo che si colloca a metà strada tra lo Charmat/Martinotti e il Classico o Champenoise, il cosiddetto Ancestrale.
Per scoprirne le particolarità dobbiamo risalire alla storia, agli antichi usi e saperi. L’etimologia della parola anticipa la primordiale storia di questo metodo. “Ancestrale” deriva dal latino antecessor e significa predecessore, furono i Romani intorno al I° secolo d.C. i primi a documentare il tentativo di catturare le bollicine prodotte dalla fermentazione nei vini chiamati spumescens.
La storia vuole che fossero i monaci di Saint-Hilaire, nei pressi di Limoux in Francia, ben 13 secoli dopo la prima scoperta, a progettare un vino accolto in una bottiglia di vetro con un tappo di legno legato da un filo capace di trattenere la CO2, superando finalmente gli annosi problemi tecnici che impedivano il realizzarsi del miracolo.
Oggi la produzione di vini con questa metodologia rappresenta una nicchia preziosa in quanto ci presenta vini differenti e con una certa personalità.
Il procedimento prevede di partire da una leggera pressatura delle uve necessaria per l’estrazione dei lieviti indigeni presenti nella buccia dei grappoli e che governano la fermentazione alcolica, svolta generalmente in autoclavi refrigerate di acciaio inox.
Il processo viene quindi bloccato ad un preciso tenore di zuccheri, necessario a garantire la ripresa della fermentazione dopo l’imbottigliamento, senza tuttavia aggiungere ulteriori zuccheri e/o altri lieviti selezionati.
Altra peculiarità di questo metodo è che al vino prodotto non si esegue la sboccatura o dégorgment, i lieviti residui restano all’interno della bottiglia.
Il Prosecco ottenuto con questo metodo si chiama “col fondo, colfondo o sur lie”.
È un vino con un grado alcolico del tutto naturale, più basso rispetto ai Prosecco prodotti con il metodo Martinotti. Definito “petillant”, sottintendendo una leggera frizzantezza, generalmente il vino si presenta nel suo tenue giallo paglierino con le classiche velature o più correttamente torbido.
Lo spettro olfattivo è più ampio e meno delineato rispetto ai Prosecco classici. I profumi sono caratterizzati da tipici sentori olfattivi di crosta di pane, che ritroviamo al gusto
tanto più accentuati quanto più è durata la sosta in bottiglia e quanto più gli stessi vengano rimessi in sospensione in fase di mescita.
Al palato ha struttura, pienezza di gusto, avvolgenza.
È agli antipodi del Prosecco tecnicamente perfetto, ma non per questo ne rappresenta un’espressione meno piacevole e compiuta.
Prodotto che divide gli esperti e i cultori, il che lo rende il candidato perfetto per stuzzicare la curiosità.
È quindi rimandata alle preferenze del consumatore la scelta di bere il vino limpido, facendo in modo di eliminare la parte solida all’atto della stappatura, o di agitarlo per rimettere in sospensione tutti i lieviti sedimentati. Con questa operazione si aumenta notevolmente la
complessità e l’intensità gustativa.
Per questo motivo spesso le bottiglie vengono commercializzate e proposte ai tavoli delle enoteche e dei ristoranti su confezioni che ne permettono la conservazione rovesciata, ovvero in posizione verticale ma con il tappo all’ingiù.
Buon vino e #drinksecco
Valentino Tesi